CAVALLOTTO, FAMIGLIA DI VIGNAIOLI DA GENERAZIONI.
Alle porte di Castiglione Falletto, cuore della zona del Barolo, sulla collina “Bricco Boschis”, si trova la Tenuta Vitivinicola Cavallotto che si estende su una superficie di 25 ettari e comprende due cru storici: il “Bricco Boschis”, appunto, e il “Vignolo”. !
Dal 1928 la famiglia Cavallotto cura personalmente le proprie vigne e vinifica esclusivamente le uve dei vigneti di proprietà.
I Cavallotto furono i primi della zona a iniziare, sin dal 1975, l’inerbimento totale nelle vigne e la lotta guidata integrata. Con l’inerbimento totale controllato si poté quindi combattere il fenomeno dell’erosione dovuto all’azione di “ruscellamento” dell’acqua durante i temporali, preservando gli strati superficiali del suolo, più ricchi di sostanze nutritive. Inoltre l’erba contribuì a mantenere intatta la dotazione di sostanza organica presente nel suolo rendendo gli strati superficiali ben strutturati e aerati, con innegabili vantaggi per la microflora batterica del sottosuolo.
Nel 1976 i Cavallotto fecero una nuova rivoluzionaria sperimentazione che assicurò, per la prima volta in Piemonte, una tecnica agronomica priva di prodotti chimici di sintesi: essi praticarono una lotta biologica contro il ragnetto rosso reintroducendo nei vigneti insetti e acari predatori (fitoseidi). Da allora, nei vigneti del Bricco Boschis, si è ottenuta un’uva sana e genuina, senza sostanze chimiche nocive, nel rispetto dell’ambiente e della salute umana grazie al solo utilizzo di rame (idrossido) e di zolfo minerale di cava.
Intanto i figli di Olivio, Alfio e Giuseppe entrambi enologi, con la sorella Laura, continuano le sperimentazioni per un’ulteriore e definitiva sostenibilità nel vigneto L’introduzione di nuove tecniche colturali quali il sovescio e l’utilizzo di oli essenziali di erbe e piante particolarmente attive nel controllare le infezioni fungine (Peronospora, Oidio e Botritis) sono infatti in grado di annullare o ridurre drasticamente l’uso di rame che tende ad accumularsi nel terreno.
I Cavallotto, oltre alle innovative tecniche biologiche, adottarono anche pratiche agronomiche atte ad esaltare la qualità dell’uva: alto numero di viti per ettaro, potatura a Gujot con poche gemme per pianta e il diradamento dei grappoli.